Rendiamo noto un estratto della ricerca su “I comportamenti musicali dei giovani nel territorio cesenate”, autori G. Zappi, M.L. Battistini comparso sulla pubblicazione “Universi Sonori” a cura dell’associazione “l’Aquilone di Iqbal” nel gennaio 2019.
Adagioassai
Gaia Zappi e M. Luisa Battistini
PREMESSA
L’idea che il linguaggio musicale sia uno dei linguaggi privilegiati dai giovani è un’idea diffusa. Rari però restano, almeno nel nostro paese, i tentativi di verificare con una certa obiettività questa presunta preferenza.
Ora la mancanza di una ricerca attendibile continuativa in questo ambito e la conseguente assenza di dati certi in merito alla “vita musicale” dei cittadini (educazione, gusti, abitudini) limita fortemente l’opportunità di riflessione dei cittadini stessi riguardo al loro diritto alla cultura e la possibilità, da parte degli addetti al settore, siano essi pubblici o privati, di rendere più sensata
e incisiva la loro azione.
Con questa ricerca Adagioassai, soggetto privato dedito alla formazione di base e alla divulgazione musicale, si augura di aver potuto contribuire a sollecitare un nuovo interesse per i temi trattati e aver posto all’attenzione pubblica i vantaggi di una progettazione
culturale che riparta dall’analisi dei reali comportamenti musicali dei giovani cittadini.
L’INDAGINE
Durante i mesi di maggio e giugno 2017 sono stati distribuiti e raccolti, presso le classi prime di tutte le scuole secondarie di secondo grado della nostra città (licei, istituti tecnici e professionali), 1.609 questionari sui comportamenti musicali dei giovani. Il questionario, ideato e realizzato da Adagioassai, era composto da 101 domande, di cui una buona parte a risposta
multipla, intorno alla fruizione e produzione musicale.
Condotta in collaborazione tra Adagioassai e l’Assessorato alla Cultura del Comune di Cesena, l’indagine aveva una duplice finalità: da una parte dotare Adagioassai di uno strumento obiettivo di osservazione del percorso musicale dei ragazzi, per capire meglio quali esperienze contribuiscano, sin dalla prima infanzia, alla formazione del gusto, allo sviluppo delle competenze e al sostegno della loro motivazione al fare musicale e, dall’altra, promuovere, tra coloro che in città si occupano di musica, alcune riflessioni condivise.
L’analisi si presentava di particolare interesse poiché non esistevano al momento della restituzione dei risultati e a tutt’oggi non ci risulta esistano, almeno a livello nazionale, ricerche equiparabili, né dati altrettanto aggiornati come quelli divulgati con questo lavoro. Risale all’anno 2000 (con pubblicazione nel 2004) l’ultima indagine dedicata, nel nostro paese, al rapporto tra adolescenti e musica. L’indagine è stata condotta e conclusa in pochi mesi ed ha coinvolto non tanto un campione quanto una vera popolazione. Inoltre, l’età scelta degli intervistati, quella dei 14/15 anni, è stata intesa come spartiacque, come momento in
cui termina il periodo della scuola dell’obbligo e in cui, verosimilmente, anche l’influenza della famiglia oltre a quella della scuola, diventa meno diretta.
I RISULTATI
Data l’ampiezza della ricerca abbiamo scelto di limitarci, almeno in un primo momento, alla divulgazione di una sola parte dei dati raccolti; quei dati che ci parevano riguardare più strettamente l’ambito educativo e culturale cui il lavoro di Adagioassai si riferisce e la cui conoscenza poteva risultare più utile alla collettività.
L’osservazione di alcuni dati significativi, in cui le differenze non erano legate al caso, ci ha permesso di identificare alcune variabili determinanti nella formazione musicale dei ragazzi e, mettendo in relazione tra loro le risposte ad alcune domande, abbiamo potuto ricostruirne a ritroso il percorso.
Quali sono risultati essere dunque i comportamenti, le pratiche, i gusti musicali dei quindicenni della nostra città? Quanto incisivi si rivelano l’uso e la diffusione delle tecnologie nell’ambito della fruizione e produzione musicale dei giovanissimi?
Se il rap è risultato il genere ascoltato dal 65,4% degli intervistati solo la metà di loro (32,2%) ha dichiarato di preferirlo ad altri generi (Figg. 1 e 2) mentre i generi meno ascoltati risultano anche essere i meno conosciuti.
Solo nel caso del jazz la percentuale di coloro che preferiscono un genere è superata dalla percentuale di coloro che vorrebbero ascoltare di più lo stesso genere dal vivo (Fig. 3). L’aspetto ludico dell’improvvisazione non deve essere sfuggito ai ragazzi.
Forse hanno intuito che i jazzisti sono tra quelli che, suonando, si divertono di più, come conferma il fatto che tra i gruppi o le organizzazioni in cui è più alto il desiderio di fare più musica troviamo il gruppo jazz con l’81,8%, preceduto dal gruppo rock con l’89,5%, e la banda musicale al 76,9% (Fig. 4).
Per il 75,3% la navigazione Internet, nell’impiego del proprio tempo libero, è una delle attività prevalenti e a questa percentuale va aggiunto un ulteriore 6,0% che dichiara di dedicarsi ad attività ludico ricreative che comportano l’uso di tecnologie. Pur constatando, quindi, che i giovani trascorrono gran parte del loro tempo libero in compagnia delle tecnologie, abbiamo registrato che solo una minoranza utilizza il proprio computer come strumento di creatività ed espressione musicale e solamente il 18,8% degli intervistati ha dichiarato di utilizzare il proprio computer per mixare, campionare e/o comporre.
Resta importante il ruolo divulgativo delle radio, e, sorprendentemente, di quelle locali, se la percentuale di coloro che ascoltano spesso la musica alla radio è pari al 37,5% (Fig. 5).
Quali sono poi le competenze e le aspirazioni musicali dei giovani? Ma, soprattutto, far musica, ha per loro un senso, un valore?
Particolarmente interessante è stato verificare che i ragazzi, cui avevamo chiesto se la musica interessava loro al punto da volerne fare di più, avevano risposto di SI ma solo se questa era fatta insieme agli altri, in un gruppo o in un’organizzazione.
Diversamente, dedicare più tempo alla pratica musicale non era un loro desiderio: alla domanda “Vorresti fare più musica?” aveva risposto NO il 61,4% e SI il 38,6% e, tra coloro che avevano risposto SI, risultava significativa la percentuale di coloro che facevano parte di un gruppo o di un’organizzazione musicale.
Ci siamo domandati, allora, chi fossero i ragazzi che facevano parte di gruppi e organizzazioni, verificando che si trattava, con maggiore probabilità, di ragazzi che a 14 anni si riconoscevano una competenza musicale abbastanza solida da poter suonare o cantare
in compagnia.
Cosa e chi incide dunque nell’opportunità di acquisire tanto precocemente una solida competenza musicale?
I nostri dati hanno confermato, con evidenza, che un ambiente familiare musicale, in cui qualcuno suona o canta al bambino sin da piccolissimo, accresce la sua probabilità di intraprendere lo studio di uno strumento.
Tra coloro che hanno dichiarato, al momento dell’intervista, di saper suonare uno strumento, il 60,6% aveva qualcuno che, durante la prima infanzia, cantava per lui/lei e il 20,6% aveva qualcuno che suonava in maniera dedicata.
Il ruolo della scuola sembra invece non influire sulla motivazione al fare musicale. Il ricordo musicale prevalente è risultato essere quello di feste, spettacoli, saggi e recite nei quali “confluiscono” o ai quali sono forse destinate, sin dall’inizio, molte delle attività musicali realizzate a scuola. Ma questo ricordo, se non incide negativamente, non incide neppure positivamente sulla motivazione degli studenti.
Altro dato che interessa il territorio: le strade e le piazze cittadine sono risultate i luoghi principali in cui incontrare, spesso casualmente, un’offerta musicale accessibile e variegata.
Per quanto riguarda gli spettacoli dal vivo, il 43,9% degli intervistati ha dichiarato di aver assistito ad almeno uno spettacolo di strada (Fig. 6).
Riassumendo potremo dire che, ad oggi, è prevalentemente grazie a stimoli che provengono dall’ambiente domestico e familiare (non scolastico) che i ragazzi intraprendono precocemente lo studio della musica e che una buona competenza risulta condizione importante
per far parte di gruppi o organizzazioni.
Infine, che, giunti all’età dei nostri intervistati, proprio la dimensione di gruppo del far musica sostiene e promuove il desiderio di proseguire la propria esperienza e formazione in quest’ambito.
Un forte e comprensibile bisogno di socialità quindi, lo stesso che impone nuovi stili e abitudini: il 53,5% degli intervistati ha dichiarato di essere stato in discoteca negli ultimi 12 mesi (Fig. 7) e tra le attività serali o del fine settimana il 62,4% dichiara di trascorrere il tempo con gli amici.
CONCLUSIONI E FUTURI SVILUPPI
Si dipanano allora sotto i nostri occhi, dentro questi numeri, che sicuramente molto altro hanno da rivelare, i passaggi fondamentali della costruzione di un pubblico della musica: nella prima infanzia con l’intrattenimento musicale dei genitori, nel periodo della scuola dell’obbligo con una pratica vocale e strumentale efficace, solida e lungimirante, nell’incontro con stili, generi, repertori, pratiche ed esperienze differenti, nell’approdo all’adolescenza privilegiando la musica d’insieme e i contesti socializzanti della musica.
Sono passaggi destinati ad amplificarsi l’uno dopo l’altro e che possiamo riconoscere con una certa sicurezza, passaggi destinati a determinare, come suggerisce la nostra osservazione, una separazione tra coloro che dichiarano di volere che la musica occupi più del loro tempo e coloro – la maggioranza degli intervistati – che invece non sentono alcun bisogno che ciò accada.
Questa separazione prefigura, verosimilmente, un ulteriore assottigliamento delle file di quel pubblico musicale già da tempo esiguo e le implicazioni sono molteplici, sul piano dei diritti, della cultura e del lavoro dei cittadini.
Aldilà dell’immenso patrimonio musicale europeo al quale il nostro paese ha contribuito storicamente e nel quale è immerso, non esiste ancora oggi in Italia un vero e proprio pubblico “stabile” della musica di qualità. Non esiste un pubblico sufficientemente sensibile, competente e attento da essere in grado di riconoscere e quindi beneficiare profondamente anche di una musica che non è o non è stata concepita per essere necessariamente venduta e comprata ma che, non per questo, può essere svalutata a forza d’ingressi
gratuiti. Non esiste un pubblico disposto a sostenere, anche solo in parte ma diffusamente rispetto ai generi, e con continuità, gli oneri di un’offerta musicale che, pur a stento, sopravvive.
E la conseguenza è che quella del musicista, troppo spesso, non può essere una professione. Poco male, dirà qualcuno, se “con la musica non si mangia”, se ne farà a meno. Eppure, facendo bene i conti, e prendendo ad esempio gli sforzi di qualche altro paese, scopriremmo che la musica può essere, anche se non usualmente un “business”, una professione di tutto rispetto.
Ma, se questo non bastasse, e il dubbio fosse proprio che la musica, in sé, non è poi così utile né così interessante, occorrerà allargare le nostre riflessioni ed arrivare al cuore della questione.
Fare musica è ancora importante per noi?
Nella nostra cultura, nella nostra scuola, nelle nostre città, nella nostra vita?
Vale davvero la pena di cogliere i suggerimenti che questa indagine ci fornisce e tradurli operativamente per contribuire alla diffusione di una cultura musicale più ampia e profonda, più ricca, a favore di tutti i futuri cittadini?
Sapere che la musica può molto nel contribuire alla comprensione umana, mezzo e fine della comunicazione tra individui e premessa indiscutibile dell’educazione alla pace, può bastarci?
Se ragazze e ragazzi hanno risposto alle nostre domande, ora starà a noi rispondere a queste.